lunedì, settembre 10, 2007

Tres Esquinas: il testo e la musica

Yo soy del barrio de Tres Esquinas,
viejo baluarte de un arrabal
donde florencen como glicinas
las lindas pibas de delantal.
Donde en la noche tibia y serena
su antiguo aroma vuelca el malvòn
y bajo el cielo de luna llena
duermen las chatas del corralòn.

Soy de ese barrio de humilde rango,
yo soy el tango sentimental.
Soy de ese barrio que toma mate
bajo la sombra que da el parral.
En sus ochavas compadrié de mozo,
tiré la daga por un loco amor,
quemé en los ojos de una maleva,
la ardiente ceba de mi pasiòn.

Nada hay màs lindo ni màs compadre
que mi suburbio mumurador,
con los chimentos de las comadres
y los piropos del Picaflor.
Vieja barriada que fue estendarte
de mis arrojos de juventud...
Yo soy del barrio que vive aparte
en este siglo de Neo-Lux.



Il testo poetico di Cadìcamo, originariamente composto da tre strofe ognuna delle quali di otto versi, venne parzialmente ridotto. Le suddette strofe di decasillabi, utilizzate da D 'Agostino e Attadìa, infatti, furono soltanto due (la prima che va dal verso 1 al verso 8 e la seconda dal 9 al 16), sebbene si aggiunga, alla fine del brano musicale, una ripresa, una sorta di coda conclusiva, che ripropone alcuni versi della prima strofa.
Le rime alternate, le assonanze e l'alternanza degli accenti di parola (si susseguono costantemente, a fine di ogni verso, una parola piana ed una tronca) danno una ritmo ben chiaro alla poesia stessa, rendendola perfettamente equilibrata e lineare nelle sue varie parti. Quanto, aldilà del significato della poesia stessa, di più plasmabile per dei musicisti di grande perizia tecnica!!!
Infatti, la poesia ci propone una serie di immagini evocative, dal sapore nostalgico, che, per altro, viene avvalorata e, forse, amplificata nella sua pregnanza dall'aspetto musicale, che, a tratti, incanta e stordisce l'ascoltatore....


Musicalmente, il tango ha una forma quadripartita.
La prima parte è l'introduzione musicale, dove il tema principale viene presentato dal tocco, a volte legato a volte staccato, degli archi. Vi sono piccole volatine di abbellimento del pianoforte e l'utilizzo dei registri più gravi degli archi, non solo per un maggiore sostegno armonico, ma, in questo caso, precipuamente melodico.
A seguire, la melodia passa alla voce di Vargas, che, con sicurezza e precisione, intona le note della frase musicale. L'orchestra, qui, ha un ruolo puramente d'accompagnamento, scevro da ogni orpello.
La terza parte, invece, a mio avviso, sembra la più interessante, in quanto la mancanza di rime alternate del testo poetico, fan sì che la voce utilizzi una modalità espressiva più vicina al recitato e al parlato, mentre l'orchestra svolge una funzione e di sostegno armonico e di ricordo lontano, quasi nelle retrovie, della melodia principale. Quell'invenzione che spiazza l'ascoltatore, in quanto non prevedibile all'orecchio umano!
Infine, la quarta, ed ultima parte, è di stampo prettamente strumentale, poiché la melodia viene ripetuta per ben tre volte dal bandoneon, dagli archi solisti e dal pianoforte.
A ciò si aggiunge la coda finale, in cui ritorna prepotentemente la voce, riproponendo gli ultimi quattro versi della prima strofa.

Tres Esquinas

L’emozione
I maestri ballavano e io non li guardavo più, avevo perso interesse per quella lezione ma a causa di quel tango mi sembrava di essere dentro un caleidoscopio che attrae, che strega, che incuriosisce e, al tempo stesso, confonde…
Al termine della lezione, timidamente, mi avvicinai a loro e dissi:
«Angelo, come si intitola questo brano?»
«Tres Esquinas- rispose lui- e significa Tre Angoli»
Ed io «Tre Angoli? In che senso?»
«Nel senso di angoli di una strada, di un quartiere»
«Ah... Il barrìo!- pensai tra me e me- Parla del cosiddetto barrio…»

Come per tutti, anche io rimasi, all'inizio, attratto dai tanghi più vicini ai nostri tempi.
I tanghi rivisitati su basi elettroniche erano congeniali alle mie orecchie e il piacere delle milonghe consisteva nell'ascoltare qualcosa di diverso dai soliti “brani-scuola “delle lezioni. Brani di solito degli anni ’40, quasi sempre strumentali, eleganti, semplici… brani che mi sembravano concepiti solo per essere ballati.
Ma l’impatto con Tres Esquinas fu devastante, rappresentò in me una svolta epocale ovvero la cristallizzazione essenziale di quello che fu, nel tempo a venire, l’enorme interesse verso il tango nel suo aspetto musicale.
E poi la voce di Angel Vargas, che mi trascinava in un luogo lontano nel tempo e sembrava evocarmi tracce sbiadite di una vita precedente. Qualcosa di esistito, non so quanti secoli fa, e che mi chiamava soltanto attraverso la percezione dei suoni prodotti dalle parole, in quanto, allora, non ne comprendevo il loro significato.

Internet, feroce strumento d’informazione dei nostri tempi, fece il resto.
Tres Esquinas è un icona. Rappresentò a lungo il “mio” tango.
E spolverata la vecchia icona mi accorsi che sessant’anni non sono nulla. E’ stato ieri e sarà domani. Un'icona resta fuori dal tempo, non è vecchia, forse è antica, ma di sicuro il suo significato sta nell’immagine stessa che racchiude.

Il Testo
Elemento ricorrente nei testi poetici di molti tangos è il tango stesso che si racconta.
Un'entità astratta, un fantasma, un pensiero collettivo che diventa anima e parla, che ragiona, detta le regole del gioco e, nonostante esso sia un coacervo di bassi sentimenti popolari, si eleva a spirito.
Non è idolatria perché non è un oggetto. Non è santità perché non è divino.
E’ la liberazione dallo squallore del quartiere e sa diventare poesia. Il compadrito che affonda il pugnale non è più un delinquente.
L’amore per le donne che fioriscono come glicini e l’immagine di un umile barrio che dorme sotto la luna piena.
E le chatas, questi malandati veicoli da trasporto che dormono nel cortile, si trasformano in angeli di una povertà che, attraverso il tango, diventa un qualcosa di romantico e decadente.

Una curiosità: la daga, è il pugnale che i compadritos portavano allacciato e nascosto sotto la cinta. Naturalmente, negli anni ’40 la figura del compadrito era, credo, pressoché scomparsa, il testo quindi evoca un ricordo, come succede spesso nel tango, di qualcosa accaduto decenni prima.

Il testo, scritto da Cadicamo, diventa un corpo unico con la musica. E’ una poesia che resterebbe dimezzata senza l’arrangiamento di D’Agostino e la voce di Vargas.

Il cantores
Nato a Buenos Aires nel 1905, Angel Vargas non fu un cantores che si distinse per la grande qualità della sua voce, tanto meno si può sostenere che egli era il possessore di una tecnica invidiabile. Ma la sua permanenza nel ricordo del pubblico porteno è inamovibile. In Vargas riscontriamo una voce che si distingue nettamente dai suoi colleghi. A prescindere dall’orchestra con cui cantò, il suo timbro è inequivocabile ed inconfondibile.
Egli adottò uno stile di canto popolare, senza particolari effetti timbrici, ma limpido, sentimentale e intimo come un sussurro.
Il suo punto di riferimento fu Santiago Devin e, nonostante le tre stelle del pubblico porteno (Gardel, Magaldi e Corsini) fossero allora l'archetipo per i cantores, Vargas riuscì ad offrire sempre un'interpretazione personale e scevra dalle loro influenze.
Gli esordi avvennero sin da giovanissimo con le orchestre di Leandro-Martino, Josè Luis Padula e il leggendario Augusto Pedro Berto. Poi, nel 1932, infine l’ingresso nell’eccellente orchestra di Angel D’agostino, allora accompagnato dal violinista Rosario Mazzeo (entrambi siculo-argentini, lo dico con orgoglio!).
Passarono sei lunghi anni prima che il pubblico scoprisse le doti di Angel Vargas e prima che le società discografiche si convincessero a registrare la sua voce (1938).
Indimenticabili i brani “Adios Arrabal”, “Esquinas Portenas”, “Adios para sempre”, naturalmente sempre con l’orchestra di D’Agostino.
Angel Vargas morì a Buenos Aires a causa di un male incurabile nel 1959.

Métempsycose Isabel Camps Laredo Montoneri Gianluca Leone MicMac Giannicola Manuela Anania Sergio La Pigna

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